Sarà una delle mostre dell’anno.
Un progetto frutto di oltre un anno di lavoro per un’esposizione che affronta un tema che ha accompagnato l’uomo in tutta la sua evoluzione, da quando è uscito per la prima volta dalle caverne fino a quando si è lanciato alla scoperta dello spazio: l’esplorazione.
Protagoniste della mostra (dal 12 febbraio al 15 marzo prossimi, quindi in periodo pre-Expo) più di venti opere realizzate da No Curves, tra i più grandi esponenti a livello mondiale della “tape art” e — come vedremo più avanti — vero e proprio filosofo del nastro adesivo.
La location non poteva essere più azzeccata: il Museo Nazionale della Scienza e Tecnologia Leonardo Da Vinci di Milano.
800mq di esposizione — compreso il sottomarino Toti — divisi in quattro aree fisiche e concettuali: terra, acqua, aria e spazio.
Tra ritratti di Armstrong, Collins e Aldrin, i primi tre uomini sulla luna, Yuri Gagarin, Leonardo Da Vinci, Reinold Messner, Felix Baumgartner, Amelia Earhart, Vitale Bramani, Jack London, Ernest Hemingway, Exp(l)oration è un mondo di citazioni che “linkano” la storia, la letteratura e la cinematografia.
Qualche mese fa, per saperne di più, sono andato nello studio di No Curves a documentare i lavori in corso.
Quel che ne è uscito fuori è una lunga intervista in esclusiva, che racconta com’è nata Exp(l)oration, dalla prima idea fino alla creazione delle opere, passando per i bozzetti e tante, tantissime letture.
* * *

Ci sono cattivi esploratori che pensano che non ci siano terre dove approdare solo perché non riescono a vedere altro che mare attorno a sé.
— Francesco Bacone, Sull’avanzamento e sul progresso del sapere umano e divino
Trovo straordinario il fatto che sia un oggetto curvo il punto di partenza per ricreare figure geometriche dove esistono solo linee rette e angoli. Come diceva Antoni Gaudì: «La linea retta è la linea degli uomini, quella curva la linea di Dio»
— No Curves
Lo studio di No Curves è stipato di roba. Libri, tavole, bozzetti, tele, rotoli di nastro. Soprattutto rotoli di nastro.
Un grande tavolo in fondo alla stanza, sotto a un soppalco (su cui non mi fa salire perché, dice, «è talmente pieno di roba che non si cammina»), domina la stanza. Sopra, due grandi schermi, dove di volta in volta si aprono sterminati archivi di vecchi lavori, rendering per l’allestimento della mostra, grafiche del volantino, miriadi di cartelle le une dentro alle altre piene di immagini di ispirazione, frutto — mi racconta — di lunghe nottate di ricerca come pure, però, di improvvise e casuali epifanie, oltre a finestre di photoshop con dentro opere costruite su decine di livelli.
Strati e livelli: di cose (nella stanza), di frammenti, di immagini e di archivi (su uno schermo), di nastro adesivo colorato (sui muri, sulle tele, sul plexiglass).
Strati e livelli: visitando il suo studio lo percepisci immediatamente il leitmotiv.
Strati e livelli: nella pratica come nella teoria, nel fare come nell’essere, e un talento innato nel tradurre tutta quella complessità, quella profondità, nella semplicità opere solo apparentemente bidimensionali.
E, anche se non posso dire di conoscere No Curves a fondo (questa è la seconda intervista che gli faccio ma quanti livelli mi mancano, ancora?), anche umanamente lui è così.
* * *

Com’è nata l’idea di Exp(l)oration? E quando?
Ho iniziato molto tempo fa ad accumulare materiale ma poi essendo sempre impegnato con altri lavori, altre mostre, altre commissioni, ho cominciato a tirare le fila del discorso “solo” da un anno.
Il concept da dove arriva?
Hai presente Kandinskij? Nel suo libro Lo spirituale nell’arte uno dei temi centrali è la vita dello spirito. Lui usa un triangolo acuto per spiegare il progresso dell’uomo. Sul piano orizzontale c’è la materia, il mondano, su quello verticale la spiritualità. L’uomo è in movimento continuo.

Tipo “Flusso canalizzatore”! Un giorno hai sbattuto la testa sul lavandino, hai avuto una visione e hai visto il triangolo…
E tu sei partito da quel triangolo?
Sì. Al vertice, in alto, ho messo la meta.
Sulla base c’è lo spazio fisico, direttamente correlato al movimento. Cos’è però che ti porta alla meta, che è pura astrazione? Il sentiero. L’esplorazione.
Spazio interno e spazio esterno. Qua arriviamo a due concetti base della fantascienza.
Esatto. A me poi non piace molto spiegare ma credo che la chiave di tutto, il pensiero iniziale che poi ha portato a concepire questa serie di lavori e quindi la mostra, sia stato quello dell’uomo dinnanzi al vuoto.

Da qui hai individuato i quattro settori dell’esplorazione: terra, acqua, aria e spazio.
Sì, con aria e terra come unici due ambienti non ostili all’uomo. Ma quello che mi è più caro è lo spazio, che è anche quello che mi sono divertito di più a costruire perché come ben sai [io e lui, proprio sulla fantascienza, ci siamo fatti lunghe chiacchierate e scambiati tanti link, ndr] sono un grandissimo appassionato.
Poi hai selezionato i soggetti da ritrarre. Immagino ce ne fossero tantissimi per ciascuno degli elementi. Come li hai scelti?
Ho seguito uno schema che si ripete in tutti e quattro elementi. E poi, tra i soggetti che avevo individuato in partenza, ho seguito sia quelli che sono i miei gusti sia quelli che mi davano modo di lavorare meglio a livello di realizzazione e di impatto dell’opera per come me la immaginavo. Quando ho iniziato a fare i bozzetti ho capito meglio su quali continuare a lavorare e quali no.

Per ogni opera No Curves ne fa diverse versioni
A proposito di bozzetti. Vedo che ne fai anche diverse versioni, che continui a lavorarci su prima ancora di metterti all’opera col nastro.
La bozza ha un’importanza relativa. La uso per fissare lì un punto, per non continuare a perdermi, poi, tra mille modifiche. Ma quando mi metto a lavorare col nastro la seguo fino a un certo punto.
Torniamo alla ricerca. Se vogliamo fare un parallelismo col concept della mostra anche quella è stata un’esplorazione. L’hai fatta “in solitaria” o ti sei fatto aiutare chiedendo suggerimenti, spunti?
Tutta in solitaria. Come le migliori esplorazioni.

Il 2015 è l’anno dell’Expo, evento che nel bene e nel male ha condizionato tutto il calendario di eventi culturali e commerciali, a Milano e non solo.
Tu l’Expo lo citi anche nel titolo della mostra: Exp(l)oration.
La mostra (da qui Expo, come “exposition”, che si trasforma in Exploration) sarà prima dell’Expo, quindi non farà parte di quel gigantesco calendario di eventi.
E Exp(l)oration in realtà va un po’ in senso antitetico perché se il tema dell’Expo sarà il cibo, quindi la comodità del vivere, io invece mostro uno spirito del tutto opposto.
Come location avevi pensato fin da subito al Museo della Scienza e della Tecnica oppure è stata un’opportunità che si è presentata e che hai colto?
È stato lo stesso museo ad aver sposato l’iniziativa. E rappresenta esattamente i temi della mostra: il progresso dell’uomo, la macchina, il modo in cui la macchina va a lavorare con l’uomo per esplorare nuovi spazi.

Proprio in questi giorni ho letto una citazione di Pasteur, che diceva: «un po’ di scienza ti allontana da dio, molta scienza ti avvicina a dio».
La scienza non è in antitesi con la ricerca di una spiritualità.
Per quel poco che ti conosco, per le passioni che so che abbiamo in comune, mi chiedo se questa mostra sia anche una sorta di tuo autoritratto.
In un certo senso sì. Non ho mai fatto prima un lavoro in cui ci fosse così tanto… me.
Tu solo apparentemente semplifichi. In realtà, frammentando ad esempio un ritratto, scomponendolo in una miriade di linee, parallele, incroci, complichi.
Sì, sono opere che da vicino osservi frammentate e poi, man mano che ti allontani cominciano a diventare riconoscibili. Ma rendere riconoscibile un soggetto non è una mia ossessione, perché comunque quella che faccio è una traduzione e quindi una menzogna.
Parliamo dei colori: che tipo di lavoro fai a livello cromatico?
Faccio molte prove, sia al computer che in stampa. Ma chiaramente un po’ lascio i legami col tema, con l’elemento. Verde e marrone per la terra…
[Mentre parliamo come sottofondo scorrono colonne sonore di film di fantascienza (tra l’altro il giorno prima dell’intervista No Curves è andato a vedere Interstellar), intervallate a pezzi di musica elettronica. Al momento di sbobinare la registrazione mi accorgo però che il rumore costante, quello che ha accompagnato l’intera conversazione, è il rumore di pagine sfogliate.
Sono tantissimi i libri sui tavoli, tantissimi quelli che mi ha mostrato. Tra Kandinskij, Malevič, Rodčenko, costruttivismo, suprematismo, futurismo… Le avanguardie storiche più svariati altri libri d’arte e cataloghi, alcune opere di chiara impronta sci-fi, ma pure molta letteratura: Hemingway, Conrad, Poe, Stevenson.
Sfogliamo libri e No Curves commenta]
Ho scoperto tanta di quella roba, in quest’ultimo anno, con le ricerche che ho fatto! Ho raccolto materiale per ben più che una sola mostra.
Guarda qua, questo è del ’25. Adesso sai quanti illustratori e street artist disegnano così?
Anche tu vieni speso etichettato come “street artist”…
All’arte urbana, alla street art ci sono vicino perché ho iniziato da lì ma poi non è che mi consideri parte di quella scena.

A proposito di libri: ne farai uno sulla mostra?
Sì, sto lavorando con Pixartprinting, che uno degli sponsor principali dell’evento. Si sono dimostrati immediatamente entusiasti del progetto e hanno deciso di supportarlo occupandosi di tutti i materiali stampati della mostra oltre che con una monografia su di me e la mia carriera.
[Mi fa vedere le prime bozze, che ovviamente per il momento non posso mostrare, e assicuro che è una vera bomba].
Oltre a Pixartprinting hai altri grandi sponsor e la cosa mi lascia meravigliato è che, forse per la prima volta, sono tutti molto centrati col tema della mostra.
È stato un lungo lavoro anche quello: trovare sponsor che non solo credessero in Exp(l)oration ma che in qualche modo fossero legati al concetto di esplorazione.
C’è Red Bull, che ha organizzato il “salto” di Felix Baumgartner da 39000 metri di altitudine. E c’è Vibram, che oltre a produrre le celeberrime suole, utilizzate da marchi di tutto il mondo, è stata fondata da un alpinista, Vitale Bramani, che proprio per la sua esperienza di esploratore e guida alpina creò le prime suole vulcanizzate, studiate apposta per avere più aderenza col la roccia.
E inoltre c’è Tatras, marchio che produce piumini di altissima qualità, che unisce design giapponese e qualità italiana. Fondato da Masanaka Sakao e prende il nome dai Monti Tatra, una catena montuosa dei Carpazi.






