Indiscutibilmente Martin Parr è, nel bene o nel male, uno tra i fotografi più influenti degli ultimi dieci o quindici anni, artefice di un’estetica imitata da legioni di artisti e pubblicitari («fammela alla Martin Parr») e responsabile, assieme a Gerry Badger, dell’esplosione del fenomeno dei photobook.
Grandissimo collezionista di libri di fotografia altrui, Parr ne continua però a sformare anche di propri, tra l’altro a ritmi serrati. La sua ultima “fatica”, recentemente pubblicata da Phaidon, s’intitola Real Food ed è un viaggio untuosissimo, stucchevole, iperglicemico, saturo (nei grassi quanto nei colori) e spesso stomachevole dentro a uno dei temi preferiti dall’artista, quello del cibo—soprattutto il cibo spazzatura—utilizzato come lente attraverso la quale indagare la società dei consumi, la massificazione, la solitudine, l’autoindulgenza, la violenza, l’eros.
Real Food è di fatto una raccolta delle opere di Parr in cui a essere protagonista è ciò che mangiamo (ma quello è il dito) e anche e soprattutto ciò che siamo (ecco la luna).
Il volume, 208 pagine per 250 foto, si può acquistare anche online.





