Il cielo azzurro, poi l’alta quota e le nuvole. L’atterraggio, il passaggio in stazione, un lungo abbraccio. In macchina verso le montagne. Eccole lì, alte con ancora un po’. Le montagne, il silenzio, i prati. Subito Paolo Rumiz con storie di confine, di guerra, di morti, di soldati della prima grande guerra, di campi abbandonati, di silenzi. Ancora storie di silenzi. Di una Europa che era più Europa. Di una guerra non ancora finita.

Il frico. La polenta. Il montasio. Il bianco. La birra. I liutai e la grappa. I prati, i fiori colorati, la foresta. Il ponte. Il fiume secco pieno di pietre, arido d’acqua, ricco di memorie, ricordi.
La Val Saisera. Altre memorie: zaino in spalla, la casa dell’alpino Vidoni.
Qui gli spazi di guerra si sono trasformati in spazi di pace.
Qui un bosco accoglie delle opere on site, che diventano parte del bosco, come l’altalena ormai diventata rami.
Qui scale sui tronchi, messaggi in codice, mostri domati, guerre finite, guerre pronte a ripartire.
Qui un ramo a testa in giù, noi a testa in su. La foresta e il suo valore culturale: alberi come storie piantate nella memoria. Nelle memorie. Mosaici di pace.

La foresta di Tarvisio. Un monumento naturale da visitare, vivere, sentire, respirare.
Camminare. Camminare. Camminare.
Le trincee, la roccia col percorso che porta dritto al suo cuore, per sentire i battiti della foresta.
Camminare. Camminare.

L’abete bianco. Il faggio. L’abete rosso.
L’abete rosso, l’albero del suono di risonanza dove trova dimora il legno che si farà melodia nelle mani dei liutai italiani, i migliori al mondo. Che si farà armonia nelle mani di chi saprà renderli movimenti sonori.
L’abete bianco. Il faggio. L’abete rosso.
Il rinnovo naturale, la risposta della natura, la potatura naturale.
Il bosco non è (mai) statico: agisce, reagisce, scolpisce.
Qui, in zone di confine, zone di guerre, zone di “opzioni”, zone di arrivi e partenze, risuonano popoli, risuonano alberi, risuonano i ricordi.

Il sacchettino del pic nic con le cose buone, la frittatina, il paninetto, il formaggio e il grano. Valbruna Inn, i dolci di Irma, la falegnameria, il rifugio Montasio, il negozietto dove Simone ha preso le cartoline di una volta, quel prato fiorito in paese. Un paese, paesino, una strada, una chiesetta, il suo cimitero.

Le strade sono deserte, il silenzio riempie lo spazio lasciato dal suono del fiume, la falegnameria, il legno in sezione, i suoi anni. I nostri anni. L’insetto immobile, l’umido del bosco, i prati di Oitzinger, la polenta. Le case disegnate, un casa piena di giochi, piena di spazzacamini. Sulla roccia di Malborghetto si vede tutto dall’alto, il campanile e i tetti, il verde. La chiesetta del XII secolo con dentro il concerto con la musica della grande Venezia.
La polveriera. Le postazioni di vedetta. Il coro, il quintetto, il violino, il violoncello, la viola, il flauto. I prati e le montagne lì a vegliare. A vegliarci. Silenziose, con le nuvole a far compagnia. E il sole che spunta, la pioggia che ritorna. Il sole spunta, la pioggia ritorna. Corsi e soccorsi storici.

Laura, Joseph, Francesco, Giovanni, Viet, Jasmine, Alessandro, Stefano, Margherita, Dora, il batterista barbuto, i ragazzi col violoncello, l’ubriaco con la chitarra, il maestro Morassi, il boscaiolo con la camicia a quadri, il sindaco camminatore, la Marisa, l’amministratore della foresta. Simone.
Infine tutti a saltare.
Radio Zastava sul prato, le birre, la tromba e il trombone, la marcia, la musica balcanica, il funerale e la festa, una grande festa. E le montagne ancora lì, ancora lì.
La Val Saisera, Valbruna, Ugovizza, Malborghetto, la foresta di Tarvisio, le montagne, il festival, il legno di risonanza, il silenzio e io dentro a tutto questo.

Note tecniche a margine.
Dal 4 al 6 giugno 2016 a Malborghetto – Valbruna, in Friuli Venezia Giulia, si è tenuta la prima edizione di Risonanze, “un festival di musica nel bosco che invita gli strumenti a suonare proprio lì dove sono nati, ai piedi degli abeti rossi dai quali deriva il legno di risonanza, quello con la più veloce diffusione del suono”.
L’anno prossimo, ci torno.