Tra la metà degli anni ’20 e gli anni ’50 gli Stati Uniti diventarono territorio di sperimentazione per designer e architetti di tutto il mondo.
Nuove linee, nuovi materiali, nuove palette di colori, soprattutto un nuovo modo di progettare e di pensare gli spazi — da quelli pubblici a quelli privati — e il rapporto con gli oggetti.
Aggiungi a tutto questo le conquiste tecnologiche dell’epoca, un diffuso benessere economico a partire dal dopoguerra, accompagnato da un ottimismo capace di propagarsi a livelli mai visti prima all’interno di una società, ed avrai la ricetta del cosiddetto Modernismo Americano che, dopo l’iniziale “debito” nei confronti dei movimenti modernisti europei, divenne uno stile a sé stante, riconoscibilissimo (sto parlando dell’“era Mad Men”, tanto per intenderci), capace di influenzare il design e l’estetica dei decenni a venire, a livello mondiale.

Nel ’58, quando ormai il design modernista aveva raggiunto ogni singolo aspetto della vita di molti americani, specialmente nelle aree urbane e suburbane, la Chevrolet, già allora una divisione del colosso General Motors, commissionò alla Jam Handy Organization (casa di produzioni specializzata in filmati corporate) un piccolo documentario dedicato appunto al design modernista e intitolato American Look.
Il filmato, che mostra l’influenza delle “nuove linee” in ogni aspetto della vita — dall’architettura al design, dal salotto alla cucina, dai giochi dei bambini agli elettrodomestici, dalle macchine da lavoro ai mezzi da trasporto, automobili comprese, ovviamente — è un documento eccezionale (nonché splendidamente realizzato, vista l’epoca) sul modernismo e sullo stile americano, visto quando questo fu al suo apice.













