1992, San Francisco: un gruppo di ciclisti, stanchi della prepotenza degli automobilisti sulle strade che, loro malgrado, si trovano a condividere, distribuiscono dei volantini invitando altri appassionati della pedalata a ritrovarsi per un giro assieme: si presentano in poco più di venti, abbastanza per fare massa critica e bloccare il traffico delle auto. Nasce così la prima critical mass, evento collettivo che poi si diffonderà in tutto il mondo.
1997, Berlino: dodici musei, su iniziativa del curatore Wolf Kühnelt, decidono di prolungare l’orario di apertura fino a tarda notte, organizzando eventi all’interno dei propri spazi. È la prima Long Night of Museums, che da allora si svolge in centinaia di città, coinvolgendo migliaia di musei — da lì arrivano anche le notti bianche che ben conosciamo in Italia.

2003, Tokyo: Astrid Klein e Mark Dytham dello studio di architettura Klein-Dytham Architecture creano una serata di presentazioni per giovani designer. L’idea è di far parlare ciascuno di essi per 6’40”: 20 immagini, 20 secondi ciascuna. La chiamano PechaKucha, che in giapponese significa chiacchiere. Dopo 15 anni le PechaKucha Nights si tengono regolarmente in migliaia di città.
Quelli appena citati sono appena tre esempi di iniziative che, seppur molto diverse tra loro, hanno alcune caratteristiche in comune: nate dal basso, su piccolissima scala, si sono diffuse a livello globale, declinate in maniera differente in base al luogo e alle esigenze.

Qual è il “segreto” del loro successo? È quello che prova a scoprire Social Design Cookbook, un libro che analizza 18 progetti di questo tipo, dai FabLab alle le mappe Use-It, dai Restaurant Day fino, appunto, alle Critical Mass, le PechaKucha Nights e le Long Night of Museums.
Flessibilità, scalabilità, cooperazione, condivisione sono le parole chiave per i format protagonisti della pubblicazione, realizzata da un gruppo di designer e ricercatori provenienti da Finlandia, Ungheria e Olanda.
Pensato come strumento utile non solo per approfondire ma anche per sviluppare progetti simili, Social Design Cookbook è pieno di interviste, analisi e approfondimenti.
Curato dal designer ungherese Attila Bujdosó, il libro è stato progettato dalla grafica Lilla Tóth (ungherese anche lei, ma di base a Helsinki) e, dopo esser stato finanziato attraverso il crowdfunding (e non poteva che essere così), è in vendita online, mentre il Social Design Canvas, versione sociale e no-profit del più celebre Business Model Canvas, si può scaricare gratuitamente.












