È passato poco più di un anno dall’apertura, a Torino, di Wild Mazzini, la prima galleria italiana a indagare dal punto di vista artistico una disciplina — l’information design — che negli ultimi anni ha conquistato una posizione sempre più centrale sia all’interno del panorama della progettazione grafica che in quello del giornalismo, ma che raramente è riuscita a inserirsi in quello dell’arte contemporanea.
Sul dualismo artista/designer, dopotutto, si dibatte da decenni, ed è evidente una certa resistenza nel considerare arte la rappresentazione visiva dei dati.
Clemente Adami, Federica Biasio e Davide Fuschi, i tre fondatori di Wild Mazzini, hanno tuttavia dimostrato che basta cambiare prospettiva e puntare l’attenzione sull’intenzione. È l’intenzione a spostare la “cornice”: dalle pagine di un giornale, di una ricerca o di una presentazione ai muri di una galleria.
Quando ho avuto occasione di intervistarli, Adami, Biasio e Fuschi hanno parlato dei protagonisti delle prime esposizioni organizzate presso il loro spazio come di figure a cavallo tra i due mondi: «ricoprono spesso ruoli di primo piano nei settori della comunicazione, dell’editoria, del marketing o della ricerca, ma al tempo stesso sviluppano percorsi personali. Gli strumenti con i quali lavorano sono gli stessi, ma nel primo caso sono a servizio di un obiettivo fissato da qualcun altro, mentre nel secondo rispondono ad una poetica, frutto del proprio gusto, attitudine o vissuto».
Un’intuizione, quella di Wild Mazzini, che ha immediatamente avuto successo. Le tante mostre organizzate finora hanno dato spazio ad artisti italiani e non, offrendo al pubblico opere che traducono in bellezza le complessità del mondo contemporaneo, proponendo un modo “altro” per leggerle.
E non poteva esserci modo migliore — per aprire una nuova stagione di progetti ed esposizioni — che una consacrazione internazionale.
La galleria torinese, infatti, è tra i partner di Encode, una conferenza di due giorni sull’information design e le sue intersezioni con il giornalismo e l’istruzione.
Organizzata a Londra, presso l’Oval Space, Encode — che ha tra i fondatori una vecchia conoscenza di Frizzifrizzi: Piero Zagami di Market Cafe Magazine — vedrà confrontarsi e tenere dibattiti e workshop alcuni tra i più grandi nomi a livello mondiale, alcuni dei quali già passati per le bianche pareti di Wild Mazzini, come Valentina D’Efilippo, Matteo Moretti, Stefanie Posavec e Miriam Quick.

Durante il festival, che si terrà il 19 e 20 settembre, la galleria porterà nella capitale britannica anche una mostra allestita con una selezione delle opere già presentate a Torino dalla prima inaugurazione a oggi.
Ci saranno le grafiche che la già citata D’Efilippo ha dedicato a Space Oddity di Bowie, i numeri e le forme di Adriano Attus, le Naturografie di Roberto Ghezzi, le capsule in vetro di Max Hornäcker (presentate nell’ambito della collettiva Where, When, How many?), e il lavoro sulle migrazioni creato dal data journalist Davide Mancino per La Lettura del Corriere della Sera (anche questo parte della collettiva Where, When, How many?).
Per seguire l’evento “da lontano” c’è un hashtag: #encode19, sia su Twitter che su Instagram.



