Tipografo, editore, designer, artista, docente e maestro, appassionato ciclista: nei suoi quasi cento anni di vita Jack Stauffacher è stato molte cose, ma soprattutto è stato colui che ha dimostrato come con i caratteri mobili si potesse fare arte, utilizzando le lettere anche come forme astratte, portandole oltre i confini della progettazione grafica per approdare all’arte moderna.
Californiano, classe 1920, figlio di un idraulico, Stauffacher cominciò a stampare da giovanissimo. Appena tredicenne, acquistato un kit per stampatori principianti, fondò la sua casa editrice, la Greenwood Press. Il primo libro lo produsse appena ventenne e poco dopo pubblicò la prima guida illustrata al Bike Polo, facendo così conoscere negli Stati Uniti questo sport.
Cartografo durante la seconda guerra mondiale, Stauffacher viaggiò in Europa durante gli anni ’50 per formarsi nelle arti tipografiche, lavorando in Italia con Giovanni Mardersteig e Alberto Tallone, e andando in Svizzera per incontrare uno dei suoi più grandi ispiratori, Jan Tschichold.

Tornato negli USA lavorò sia come tipografo che come docente, riaprì la sua Greenwood Press a San Francisco, stampò libri, progettò copertine, fece da maestro e mentore per molti futuri grandi nomi del design e della tipografia, vinse premi, fece mostre, ma di sabato si ritagliava un momento tutto per lui. Per oltre cinquant’anni, infatti, dal ’66 fino al 2017, anno della sua morte, Stauffacher dedicò i suoi sabati a quelle che lui chiamava le “meditazioni tipografiche”.
Cominciò quando un tipografo ormai in pensione gli regalò una scatola piena di caratteri in legno: andava nel suo studio, completamente solo, accendeva le luci, faceva suonare un po’ di musica classica e poi si metteva a stampare e a sperimentare, o meglio a “giocare” con i caratteri.
«Queste lettere in legno… hanno un battito vitale. Non sono soltanto lettere di legno morte. Aspettano di essere usate ancora, da persone che hanno passione», disse una volta.
Quelli che gli stampatori tradizionali avrebbero considerato errori madornali, per Stauffacher erano un linguaggio espressivo: utilizzare i solventi sulle lettere, cambiare inchiostri, sovrastampare sovrapponendo le forme, smarginare (cioè far uscire il grafismo dal margine della pagina), creare geometrie attraverso gli spazi negativi.

Oggi parte di quel materiale è conservato presso il Letterform Archive e ci è arrivato anche grazie al type designer italiano Antonio Cavedoni (che ho avuto il piacere di incontrare qui a Bologna qualche anno fa), che nel 2012 ha presentato Stauffacher a Stephen Coles, curatore e direttore editoriale dell’archivio. Da quell’incontro nacque anche un video, nel quale Stauffacher che mostra le sue opere.
Alla morte dell’artista la figlia Francesca invitò nel suo studio Coles per selezionare opere, libri e oggetti da portare al Letterform Archive, che ora a Stauffacher dedica un libro intitolato Only on Saturday, proprio in riferimento ai suoi settimanali ritiri artistico-meditativi.
Finanziato attraverso una campagna di crowdfunding su Kickstarter, il volume è stato progettato e curato dal designer Chuck Byrne, amico di lunga data di Jack Stauffacher, che racconta di come «il suo lavoro lo faceva essere felice, e si può percepire questa felicità nel suo lavoro».
Stampato (ovviamente) a regola d’arte, il libro è composto da 208 pagine e 250 immagini, tra foto d’epoca, opere e persino “work in progress” finora mai visti e assai interessanti per fare luce sul processo creativo, oltre che saggi scritti da professionisti e collaboratori del grande tipografo e artista.
C’è anche una versione “deluxe” con un box, e un portfolio con 10 stampe fac-simile e 10 prove di stampa.
L’uscita prevista è giugno 2020 ma ci sono solo pochi giorni per prenotarne una copia.

