Il popolo Bhil è un gruppo etnico indoario che vive in diverse regioni occidentali dell’India e nella provincia pachistana del Sindh. Perseguitato durante la dominazione britannica — giustamente insofferente nei confronti del colonialismo, il gruppo venne bollato dagli inglesi come “tribù criminale”, aprendo la strada a terribili atti di sopraffazione, tortura e arbitrarie esecuzioni —, oggi è conosciuto soprattutto per la sua ricca cultura tradizionale e per le straordinarie pitture, con le quale da secoli i Bhil decorano le loro case.
Caratterizzati da tantissimi punti colorati, gli affreschi vengono realizzati con pigmenti naturali usando foglie e rametti al posto dei pennelli (ma ormai c’è chi usa strumenti moderni e tinte già pronte), in un processo che ha più a che fare con il rito sacro che con la semplice espressione artistica.
«Per soddisfare un desiderio, si offrono preghiere come pegni. Noi Bhil, invece, facciamo immagini» dicono.
Dietro a questa tradizione, infatti, si cela un affascinante mito che ha a che fare con la siccità, con degli sciamani e con un insolito raccontastorie.
Tutto cominciò con un gallo, che aveva la gola talmente secca da non riuscire a cantare. È proprio lui a narrare la leggenda in un bel corto d’animazione intitolato Hum Chitra Banate Hai, cioè “noi facciamo immagini”.
Prodotto dal magazine digitale Psyche (che fa parte del gruppo Aeon), il filmato è diretto da Nina Sabnani, artista, esperta di tradizioni e docente presso l’Industrial Design Centre dell’Indian Institute of Technology di Bombay, che ha co-prodotto il video.
I disegni sono invece opera dell’artista Sher Singh Bhil, che li ha prodotti usando questo stile puntinato che ha secoli di storia alle spalle.






