Non sappiamo ancora con certezza se apparvero fin da quando si cominciarono a usare le monete, ma di sicuro i salvadanai esistono da molto, moltissimo tempo, perlomeno dal II secolo a.C., che è il periodo al quale risale un esemplare ritrovato in Turchia, a Priene, un tempo colonia greca. Aveva la forma di un tempio e una fessura in tutto e per tutto simile a quella dei salvadanai moderni.
Da allora, a parte cambiamenti di forma e materiali, il dindarolo, come viene chiamato a Roma, è rimasto pressoché immutato per secoli, per poi “evolversi” in un porcellino: il più antico giunto fino a noi è stato prodotto nell’isola di Java nel XII secolo, ma la tradizione di realizzarne in terracotta o ceramica a forma di maiale è di origine incerta, forse tedesca, oppure inglese — in quest’ultimo caso la genesi sarebbe piuttosto curiosa e avrebbe a che fare con l’etimologia: nel Medioevo l’argilla con cui venivano prodotti si chiamava pygg. L’assonanza con pig è evidente, e dal nome alla forma il passo è breve.
Poi, a fine ‘800, negli Stati Uniti iniziò a dilagare la mania delle cosiddette mechanical bank, dei salvadanai meccanici in cui c’erano personaggi che compivano delle azioni basilari.
L’idea fu di un certo James Serrill di Philadelphia, che nel 1869 brevettò quella che a prima vista sembrava una semplice cassettiera in legno in miniatura. In realtà era un salvadanaio, che si azionava aprendo un cassetto e inserendo la moneta. Richiudendo il cassetto, il fondo si ribaltava e la moneta cadeva nello scomparto inferiore, così che aprendolo di nuovo il soldino era scomparso.
Tanto semplice quanto ingegnoso, il sistema serviva a dare un tocco giocoso all’atto di depositare e dunque risparmiare denaro. Da quel momento in poi, fu un vero e proprio “boom”: sul mercato cominciarono ad apparire svariati modelli, perlopiù in metallo e con meccanismi simili, pensati principalmente per bambine e bambini.
Il periodo d’oro delle mechanical bank fu quello a cavallo tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, specialmente negli USA, dove se ne producevano di ogni tipo, raffiguranti animali, scene di vita quotidiana, celebrità, personaggi del cinema o dei fumetti, caricature satiriche di uomini politici ma anche stereotipi etnici che oggi appaiono come altamente razzisti.
La moda iniziò ad affievolirsi attorno al 1930, e queste tipologie di salvadanai sparirono quasi del tutto. Quelli prodotti all’epoca sono oggi pezzi molto ricercati da collezioniste e collezionisti di tutto il mondo.
Una delle più vaste collezioni mai raccolte apparteneva a Katherine Kierland Herberger, moglie dell’imprenditore George Robert Herberger, proprietario di una catena di grandi magazzini. Classe 1912, Katherine iniziò a collezionarli quando ne regalò uno al figlio, e in oltre sessant’anni mise assieme una serie straordinaria, composta da oltre 800 salvadanai meccanici e più di 200 salvadanai normali.
Alla sua morte donò la raccolta al Minneapolis Institute of Art, che da allora conserva gli oltre 1000 pezzi, protagonisti anche di un libro.
Alcuni di essi si possono vedere online. Nel libro, invece, ci sono tutti.
P.S.
A chi ama questo genere di collezioni consiglio anche il volume di lusso uscito un paio di anni fa per Franco Maria Ricci Editore: CHA-CHING! L’Arte del Risparmio.

designer: Charles A. Bailey; produttore: J. & E. Stevens Company, Cromwell, Connecticut, USA
Minneapolis Institute of Art, dono di Katherine Kierland Herberger

designer: James H. Bowen; produttore: J. & E. Stevens Company, Cromwell, Connecticut, USA
Minneapolis Institute of Art, dono di Katherine Kierland Herberger

produttore: John Harper & Company, Ltd., Willenhall, Staffordshire, UK
Minneapolis Institute of Art, dono di Katherine Kierland Herberger

designer: Charles A. Bailey; produttore: J. & E. Stevens Company, Cromwell, Connecticut, USA
Minneapolis Institute of Art, dono di Katherine Kierland Herberger