«Ritratti a metà è un progetto di relazioni, più che di immagini. Nei ritratti a metà è come se vedessi affiorare un’onda che passa da una metà all’altra della foto. Forse a volte anche i pensieri dei genitori e dei figli si assomigliano?».
Intervista a Marcella Marraro che con Ritratti a metà ha avviato un progetto dedicato a una forma di ritratto intergenerazionale dove il volto dei giovani ricorda chi siamo stati, mentre quello degli adulti è una possibilità del nostro divenire nel tempo.
Web designer di lunga esperienza, “mamma” del seguito sito Milano per i bambini, Marcella Marraro è oggi anche fotografa. Come e quando è nato il progetto Ritratti a metà?
La mia passione per le somiglianze ha radici profonde: sfogliando gli album di famiglia, già da bambina, mi soffermavo sulle immagini di mio padre, sperando di riconoscere nei suoi lineamenti qualcosa di “mio”, e viceversa, cercando sul mio volto le tracce dei suoi tratti. Era un tentativo evidente di sentirmi più vicina a lui, nonostante non lo fosse. Ero in cerca di prove tangibili del nostro legame.
Dopo i primi ritratti a metà con i miei figli, nel 2019 ho deciso di trasformare questo gioco personale in qualcosa di più organizzato, allestendo un piccolo set a casa con l’idea di estendere l’esperimento ad amici e conoscenti. Poi è arrivato il Covid. Non potendo ospitare nessuno, durante il lockdown raccoglievo le foto ricevute via email e pubblicavo i risultati dei montaggi su Facebook. Il “vero” del progetto è avvenuto a Cagliari, al Festival Tuttestorie, a ottobre del 2023.
Che cosa ti colpisce durante gli scatti?
Prima e dopo lo shooting, osservo come i membri di una famiglia si muovono, come si guardano, come interagiscono. Ritratti a metà è un progetto di relazioni, più che di immagini. Nei ritratti a metà è come se vedessi affiorare un’onda che passa da una metà all’altra della foto. Forse a volte anche i pensieri dei genitori e dei figli si assomigliano?
I due soggetti possono avere lo stesso naso, la stessa bocca, ma quello che mi colpisce di più è una piccola ruga di espressione molto simile o la luce negli occhi. Attraverso i ritratti cerco di narrare storie visive che svelano la bellezza e la complessità di questo legame fondamentale.
In un secondo momento ti sei aperta anche a chi non era consanguineo, ad amici che si sono frequentati in modo intenso e intimo. Cosa è emerso da questo nuovo approdo?
La mia visione personale della famiglia supera i legami biologici. Posso affermare di considerare come fratelli, sorelle e addirittura “secondi genitori” persone al di fuori dei confini della mia casa. La mia famiglia si è estesa nel tempo grazie a esperienze di condivisione con i miei amici e con i loro parenti stretti. Questa riflessione mi ha permesso di aprire un nuovo capitolo di Ritratti a metà, quello degli amici che si frequentano in modo assiduo.
È straordinario notare come, in questo processo, si finisca magicamente per assomigliarsi, condividendo espressioni, atteggiamenti e plasmandosi lentamente attraverso l’intimità condivisa.
Chi sono le persone che si rivolgono a te per questo progetto? Puoi tracciare una sorta di identikit?
Madri e figlie, tante sorelle. Quando posso, cerco di fotografare tutto il nucleo famigliare e provare ogni possibile accostamento. Perché quando mi dicono “mia figlia è uguale al padre”, i risultati spesso dimostrano che, invece, è molto più somigliante alla madre, e viceversa. Spesso si sottovaluta l’importanza delle espressioni che però, in foto, emergono facilmente.
Una grande soddisfazione, poi, arriva saltando le generazioni. I nonni portano a casa il ritratto con orgoglio, come se fosse un autentico trofeo. Forse Mauro, nella foto col nipotino, ha fatto un tuffo nel suo passato?
Il tuo progetto è approdato a Cagliari al Festival Tuttestorie. Ci racconti questa esperienza?
In cinque giorni ho fotografato circa 400 persone. Un’esperienza faticosa, ma molto divertente e gratificante. Ho visto tanti uomini e donne in fila per prenotare uno scatto. Il ricordo più bello: una signora si è presentata a braccetto con la sua anziana madre. Erano elegantissime, sorridenti e determinate a portare a casa un ritratto, nonostante il set fosse già chiuso.

Qual è il momento più emozionante?
Il momento più emozionante è la consegna del ritratto. Mi impegno a consegnarlo di persona, già stampato e incorniciato, preferibilmente in un contesto rilassato come davanti a un caffè. In questa occasione provo a catturare altre emozioni (questa volta non attraverso l’obiettivo della mia macchina fotografica), ma soprattutto impressioni e commenti.
Un’ultima considerazione: in un’epoca dominata dal digitale, provo un sincero orgoglio nell’immaginare i miei ritratti sulle pareti di tante case. I ritratti a metà resistono alla frenesia dei nostri tempi, rappresentando un ritorno alle buone abitudini del passato. La capacità di offrire un’esperienza tangibile e duratura attraverso la fotografia è per me un elemento di grande soddisfazione.